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Don Chisciotte: storia di un antieroe

Aggiornamento: 27 ott 2020


Don Chisciotte: storia di un antieroe - Il confronto quotidiano

In un modo o nell’altro, a tutti sarà capitato di imbattersi nel romanzo “Don Chisciotte della Mancia”, pilastro della letteratura spagnola. Molti insegnanti ne suggeriscono la lettura agli alunni, ma questi finiscono spesso per lasciarsi scoraggiare dal numero di pagine e scelgono altro. Ed è un peccato, perché Don Chisciotte, nonostante i suoi 415 anni, è un personaggio che può insegnarci a guardare oltre la realtà per come essa ci appare, invitandoci a cercare i significati sempre nuovi che si celano dietro ogni aspetto della vita.

Don Chisciotte è un “cavaliere senza macchia e senza paura”... o meglio, lui si immagina così. In realtà è il nobile Alonso Chisciano, che ha ereditato numerose proprietà e ha passato la vita a leggere tutti i romanzi di cavalleria della sua infinita biblioteca. Un giorno, egli gira l’ultima pagina dell’ultimo libro e prende una decisione che cambierà il corso della storia: anche lui diventerà un cavaliere errante, combatterà per la giustizia, darà il suo contributo per un mondo migliore, aiuterà le persone in difficoltà e difenderà gli umili dalle angherie dei potenti. Bel programma, no?

Per riuscire nell’intento, egli avrà bisogno di un’armatura, del cavallo Ronzinante, del fidato scudiero Sancho Panza e di una donzella a cui dedicare le sue imprese, Dulcinea. Don Chisciotte e Sancho vivranno molte avventure, a partire dall’improbabile cerimonia d’investitura nella locanda, proseguendo con numerosi fraintendimenti e duelli. O meglio, risse, da cui l’ (anti) eroe uscirà sempre sconfitto.

A far da sfondo, una Spagna ormai lontana.

Cervantes gioca sempre di contrari, facendo leva sulla follia del suo protagonista, sopraggiunta in seguito all’eccessiva lettura di libri di cavalleria. Don Chisciotte non ha nulla dell’Eroe. Egli vive una doppia vita che, però, esiste solo nella sua testa: vorrebbe essere un cavaliere errante, ma in realtà è un nobile decaduto.

Ha bisogno di un cavallo, ma si muoverà sempre in groppa a un ronzino; sceglie uno scudiero e si ritrova al fianco di Sancho, umile contadino che lo segue nelle sue imprese con l’unico desiderio di fare fortuna e diventare governatore di un’isola. La stessa dama a cui egli dedica le sue imprese è la popolana Aldonza Lorenzo, che egli chiama “Dulcinea del Toboso” e che rimarrà sempre all’oscuro di tutto. Egli scambia una locanda di paese per un grande castello, prostitute e serve per principesse, mulini per giganti, greggi di pecore per eserciti ottomani: da quest’ultimo evento egli uscirà rovinosamente sconfitto poiché malmenato dai pastori, che gli faranno perdere due denti e guadagnare anche l’appellativo di “Cavaliere della triste figura”. Dunque perché amare così tanto questo personaggio?

Don Chisciotte è un uomo puro, con un nobile sogno nel cuore e molto coraggio. Lui non cerca la fama o la gloria, ma vuole sentirsi importante, fare del bene, essere d’aiuto agli altri anche se questi suoi desideri lo rendono spesso preda di sberleffi altrui. A nulla servono i genuini consigli di Sancho, sua controparte razionale che vede sempre la realtà per come essa è. Numerose volte gli suggerisce di non battersi contro i mulini o di non aggredire le pecore, temendo il peggio per il suo compagno di sventure. Questo perché Don Chisciotte, al contrario, non vede dei semplici mulini, ma giganti trasformati da un mago che vuole distoglierlo dai suoi progetti.

In quest’opera, emerge anche il potere che Cervantes attribuisce alla Parola. Infatti, all’inizio può sembrare che il pragmatico scudiero accetti di abbandonare la famiglia e accompagnare il “cavaliere errante” poiché spera di ottenere ricchezza e fortuna. Ma è davvero questo il solo motivo? In realtà egli si lascia ammaliare dai discorsi dell’abile oratore Don Chisciotte. Avendo trascorso la vita leggendo, egli ha acquisito un lessico e una retorica tali da apparire sempre convincente e pienamente consapevole di ciò che dice. Sancho, totalmente affascinato dal suo parlare, accetta di seguirlo nelle sue folli gesta, risollevandolo ogni volta che cade, ormai consapevole della pazzia del cavaliere.

Nella “seconda parte di Don Chisciotte”, pubblicata dieci anni dopo la prima, Cervantes ci racconta di come i suoi personaggi si siano rimessi in cammino nella speranza di vivere nuove avventure. Alla fine del secondo tomo, Don Chisciotte torna a casa e, dopo un lungo sonno, recupera inaspettatamente la lucidità mentale. Subito dopo aver abbandonato le vesti di cavaliere e indossato nuovamente quelle di Alonso Chisciano, muore.


Questo è forse il messaggio più bello che ci lascia l’autore. Alonso è vivo finché crede in qualcosa, finché si aggrappa al suo sogno con tenacia e innocenza: nel momento in cui abbandona la fantasia, egli semplicemente non esiste più.


Benedetta Pitocco




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