Disabilità e pandemia: in cammino, affinché i diritti diventino effettivi
Durante questo difficile periodo, causato dalla pandemia, sono state molte le categorie di persone duramente colpite, per primi coloro che presentano delle disabilità, e le loro famiglie. Su questo argomento si è sentito e parlato troppo poco, per questo motivo credo che possano essere fondamentali, per la sensibilizzazione, testimonianze come quella della presidente della Fondazione PROGETTOAUTISMO FVG, Elena Bulfone:
“Prima di parlare di covid e disabilità serve fare distinzione tra i vari tipi di disabilità: le più classiche sono le disabilità motorie – ad esempio chi necessita della carrozzina; poi ci sono le disabilità sensoriali – come la cecità, la sordità; infine, le disabilità mentali/intellettive, nelle quali si comprendono anche gli autismi. Inoltre è necessario considerare che esistono anche persone che presentano più di un tipo di disabilità – come una persona cieca che presenta anche una disabilità intellettiva.

Il covid, e tutto ciò che ne è seguito, non ha complicato solo la situazione di queste persone, ma anche quella dei loro accompagnatori e dei caregiver, ovvero coloro che dedicano parte della loro vita – spesso si tratta di madri e, più in generale, delle famiglie – ad accudire le persone con disabilità.
È doveroso fare una distinzione anche tra disabilità lievi (legge -anno?- n. 104, art.3 com.1) e molto gravi (legge -anno- n.104, art.3 com.3). Ovviamente, chi è molto grave, quindi normalmente necessita di sostegno in un centro diurno (circa 8 ore giornaliere) o residenziale (24 ore), ha riscontrato molte difficoltà; queste ultime sono emerse soprattutto nel primo periodo della pandemia, quando si sono verificati, attraverso gli operatori, numerosi contagi, e i successivi decessi. In questa seconda fase, fortunatamente, si sono trovate regole e prassi da adottare molto più adatte, nonostante comunque le norme per persone con disabilità abbiano per lo più approcci individualisti, e varino anche in base al territorio e alla struttura, il che chiaramente non è una cosa positiva.
Un’altra problematica è quella legata al vaccino, più precisamente alle normative che dovrebbero indicare le persone con priorità; in questo caso ci si chiede anche chi, tra coloro che accudiscono un disabile, abbia la priorità. Ciò avviene anche perché, in Italia, non è ancora stata costituita la figura del caregiver, e questo crea problematiche normative – come quella sopracitata – non indifferenti.
Durante il lockdown molte persone sono rimaste a casa e solo alcune regioni – tra cui il Friuli Venezia Giulia – hanno permesso alle strutture, private e pubbliche, di riaprire dopo la chiusura totale, mentre la maggior parte ha potuto ospitare gli utenti solo dopo luglio. Quindi, le famiglie si sono dovute far carico di persone che oltre alle difficoltà derivate dalla malattia, portavano anche un grande carico di stress. Il maggior disagio l’hanno subito coloro che presentano disabilità intellettive, in quanto le più difficili da rendere partecipi e consapevoli della difficoltà generale data dal covid.
Inoltre, si aggiungono anche le difficoltà nelle situazioni di persone al domicilio adulte, e di quelle in età scolare. Nel primo caso, le condizioni degli utenti sono diventate molto pesanti, soprattutto per chi presenta una disabilità intellettiva – causa la mancanza della solita routine; ulteriormente, le persone meno gravi, inserite in contesti lavorativi, sono state impossibilitate a recarsi sul luogo di lavoro per un lungo periodo: ciò ha recato molti disagi, anche all’interno delle famiglie. Nel secondo caso, tutti gli utenti in età scolare, durante il primo lockdown, hanno dovuto seguire a distanza, mentre nella seconda parte della pandemia è stato emanato un decreto che ha permesso alle persone con disabilità di poter presenziare alle lezioni (quindi di persona, non in DAD); difatti, è stato possibile riscontrare che la didattica a distanza non sia un buon mezzo di educazione e formazione per le persone con disabilità grave o medio-grave.
In aggiunta alle problematiche che tutti hanno affrontato durante la pandemia, si deve contare la forte paura dei familiari e dei caregiver, che non riguardava soltanto il rischio che il disabile potesse contrarre il virus, ma anche che loro stessi potessero ammalarsi, e di conseguenza non essere più presenti come avrebbero voluto. Ad oggi questo problema e questa paura persiste, in quanto non ci sono linee guida riguardo un luogo nel quale possano essere ospitate le persone con disabilità, nel caso in cui chi si prende cura di loro dovesse ammalarsi o venisse ospedalizzato.
Inoltre, all’inizio della pandemia, se un disabile veniva ricoverato per covid, non aveva la possibilità di avere un familiare a fianco: ciò ha creato molte difficoltà, perché non sempre i sanitari erano, e sono, in grado di gestire queste persone, soprattutto perché tutte molto diverse tra loro, e quindi con diverse esigenze e difficoltà. Nonostante recentemente sia stato emanato un nuovo decreto che permette ai familiari o caregiver di affiancare il disabile in ospedale, rimane la grande difficoltà nel poter somministrare determinati tipi di cure, come ad esempio il casco (riguardo a questo, purtroppo, non è stata approntata una soluzione).
Infine, i familiari insistentemente hanno richiesto che si potessero fare dei tamponi salivari, quindi non invasivi, per evitare forti crisi nei pazienti; questo tutt’ora viene richiesto in quanto non è ancora in atto una procedura ufficiale per queste situazioni. Un passo avanti è stato fatto proprio qui in Friuli, a Udine, dove è stato trovato un modo per far fronte a questa problematica, soprattutto nei casi più difficili – nei quali, ad esempio, c’è necessità di sedare il paziente.”
Articolo a cura di: Letizia Malison