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Dimostramelo. Le parole non bastano. Nemmeno quelle belle

Aggiornamento: 27 ott 2020


Dimostramelo. Le parole non bastano. Nemmeno quelle belle - Il confronto quotidiano

Oggi, 23 settembre 2020, stavo cambiando il giorno al calendario ed ho letto questa frase di Alessandro D’Avenia che ritengo attuale oggi come non mai, considerato come le parole siano passate oggigiorno in secondo piano, se non terzo.


Per quale motivo le parole hanno perso così tanto valore? A che cosa attribuiamo ora quel valore che sembra perduto? Innanzitutto, dobbiamo partire dal presupposto che se le parole preparano il disegno, come fa la matita, i fatti sono i colori che realizzano e completano il dipinto: cosa ce ne si fa di un dipinto incompleto, del resto? In più, specialmente nella situazione italiana, i problemi di comprensione, anche di un testo elementare, aumentano sempre di più: quindi perché dovremmo continuare a dare anche solo un minimo di valore alle parole, se questo ci crea difficoltà?


Le immagini sono molto più dirette. Queste possono anche raffigurare le tanto adorate azioni, facendo decadere la dualità rivale parola-azione. Possiamo avere tutto in un singolo elemento, la fotografia. Così tutto ci sembra risolto, potremmo comunicare essenzialmente tramite delle fotografie senza aggiungere parole superflue. A cosa porta tutto ciò?


A un mondo di punti di vista: soprattutto tramite i social media, con le foto ed eventualmente video raffiguriamo la nostra visione del mondo personalizzata, accompagnandoli con parole che spesso non hanno una funzione specifica, bensì una mera funzione estetica e decoratrice. Ci divertiamo a pubblicare foto del cielo, scorci della nostra città preferita, ritratti di persone che idolatriamo, foto di noi stessi, (tutti tipi di foto che spesso si fondono tra loro), anche quelle venute male poiché mosse ci sembrano una grande azione di ritratto poetico di chissà cosa, come se ritraendo e fotografando queste cose e persone compiessimo delle azioni più concrete delle parole che potremmo pensare o scrivere.


Purtroppo per noi, però, la realtà dei fatti è molto lontana da quello che abbiamo immaginato finora con questi scatti: in base a queste foto e video, infatti, abbiamo iniziato a costruire e dare valore a delle nuove situazioni: per esempio abbiamo iniziato a tenere conto di chi visualizza queste foto, chi le manda avanti, ignorandole, e azioni del genere.


Ma vogliamo davvero dare così tanto potere e significato a queste “azioni”? Vogliamo davvero pensare che, andando avanti veloce su una foto o addirittura non visualizzandola posso essere sospetta o colpevole di odiare la persona che ha pubblicato la foto e di star progettando qualcosa di crudele contro di essa?


Se bastasse un’azione del genere per farci comprendere cosa ha in mente una persona avremmo risolto tre quarti dei nostri problemi interpersonali. Le parole non sono azioni, non sono concrete e da sole non bastano, questo lo sappiamo bene, ma di questi tempi abbiamo iniziato a nasconderci in qualcosa di ben più potente delle parole, perché le fotografie non hanno bisogno di traduzioni per essere comprese, esse sono degli elementi internazionali e spesso intraducibili sotto forma di parole.


Se davvero vogliamo fare qualcosa, portare un cambiamento, buttarci in qualcosa di nuovo, segnalare una problematica, dobbiamo agire direttamente: sono le nostre azioni che determinano quello che siamo, non le nostre foto, senza le prime non possiamo permetterci di dire di essere nessuno.


Se le parole non bastano, nemmeno quelle belle, lo stesso vale per le fotografie. Si accettano solo azioni concrete.


Claudia Crescenzi




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