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Dal frammento ad un piccolo scorcio d’arte antica: l’ostrakon

L’espressione di un popolo ha tradizioni insediate nel tempo e nella storia, sappiamo che la scrittura ha radici antiche, la ritroviamo in Mesopotamia intorno al 3000 a.C e qualche secolo più avanti nel 600 a.C in Mesoamerica. Durante l’età Ellenistica poi, che va dal 323 a.C (Morte di A. Magno) al 31 a.C (Morte di Cleopatra), vi fu un’intensa attività per grammatici e filologi alessandrini che operano la scrittura di Iliade (i cui canti sono contrassegnati con le maiuscole) e Odissea (lettere minuscole) fino a quel momento tramandati dagli aedi (cantori) che sorretti dalla memotecnica, compongono e tramandano il “corpus epica”.

Tutto però nasce ancor prima attraverso la narrazione orale e la rappresentazione della vita e della quotidianità per mezzo di arti rupestri raffiguranti immagini antropomorfe e zoomorfe.

I materiali di pittura, scrittura e incisione talvolta non sono sfumati, nemmeno le antiche tradizioni, tantomeno i materiali su cui viene impresso il messaggio. Ancora oggi accade di dipingere su tela, su vasi o adornare componenti d’arredamento.



Gli ostrakon (o ostracon) risalenti all'antichità classica (Egitto, Grecia, Persia) non sono altro che frammenti di recipienti di ceramica, terra cotta, vasi o pietra su cui viene riportato un disegno o una scritta. Tradizionalmente, in lingua greca “ὀστρακισμός” significa “conchiglia”, ma proprio nell’antica Grecia veniva utilizzato anche come scheda elettorale nelle procedure di ostracismo della democrazia ateniese; ovvero un’istituzione giuridica volta a condannare all’esilio il cittadino ritenuto pericoloso.


L’ostrakon rimane una testimonianza epigrafica molto importante per il mondo archeologico e storico proprio perché in grado di fornire indizi sul passato.

Per le classi meno abbienti (povere soprattutto) era difficile acquistare il papiro, materiale costoso nonché elemento di esportazione, spesso di pubblico monopolio, ecco perché gli ostrakon oltre che ad essere principalmente frammenti di materiali ormai di scarto, furono un’ottima alternativa su cui incidere la propria storia. Diceva De André: “dal letame nascono i fior”, una metafora che ben rende l’idea.


Un capolavoro dell’arte in miniatura egizia è l’ostrakon in pietra calcarea ritraente una ballerina di profilo in movimento, intenta a compiere con eleganza un’acrobazia.

Si tratta del “Ostracon showing a dancer in an acrobatic position” ad oggi custodito al Museo Egizio di Torino. Il corpo arcuato mostra le forme della donna che si distende nel completamento di una capriola, la chioma prosperosa ricade morbida verso il basso rendendo l’idea di gravità; il tutto all’occhio risulta armonioso, soave e leggero. È ben visibile il lavoro minuzioso e dunque l’abilità del disegnatore, tanto che si può scorgere il tentativo di ricerca e rappresentazione di leggere ombre sulla pelle ambrata della donna; il corpo nudo segue una linea romantica che all’altezza del punto vita attira lo sguardo in una sorta di pareo scuro riempito di motivi policromi. I ballerini (sia uomini che donne, ma principalmente donne in quanto spiccava di più la grazia) erano soliti a vestire abiti di un materiale molto morbido e tendente al trasparente e spesso lasciare le gambe nude (a volte anche altre parti del corpo), questo per assicurare un movimento più ampio e per permettere agli spettatori di ammirare le acrobazie e la bellezza del corpo. Oltre l’abbigliamento anche gli ornamenti avevano importanza, in quanto arricchivano la bellezza dei danzatori, ecco infatti che spicca il grande orecchino indossato dalla danzatrice.

La scelta di rappresentare una scena di ballo inoltre non è casuale, la danza, come la musica, faceva parte del repertorio educativo egizio, era previsto un ballo per ogni occasione: come saluto al defunto, come intrattenimento durante i banchetti, durante le celebrazioni religiose, per onorare una divinità o allietare gli ospiti… anche le performance differenziavano, ci si poteva cimentare in danze acrobatiche, singole o di gruppo. E seppur per i personaggi più illustri non era prevista la partecipazione per una questione di decoro e contegno, era comunque un piacere lasciarsi incantare dalle performance e godere di tale bellezza.



Un piccolo gioiello del patrimonio egizio risalente al Nuovo Regno, XIX/XX dinastia (1291 - 1076 a.C) ritrovato a Deir el-Medina, un villaggio a ovest di Tebe. Gli artisti di Deir el-Medina erano soggetti a regole e canoni rigidi soprattutto quando veniva richiesta loro la decorazione o la lavorazione delle tombe della Valle dei Re, mentre proprio per mezzo di cocci e materiali più poveri, potevano dare libero sfogo alla loro più viva e sincera arte nonché creatività.


Ad oggi il valore di questi reperti è molto alto, il ceto sociale dell’artista o semplicemente del disegnatore importa solo nel caso fosse rilevante per capire le dinamiche di vita; ma ecco l’arte, anche in casi così minuti, riconosce i propri figli e non permette che vadano perduti una volta ritrovati.


Articolo a cura di: Matilda Balboni


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