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Da San Giorgio alle Aquile Randagie, non si vive di soli ideali

“Cavaliere io sarò, anche senza il mio cavallo, perché so che non si può stare seduti ad aspettare”


Queste, le parole di una ben nota canzone scout. Più precisamente, “Cavaliere io sarò” è la canzone per eccellenza della Veglia d’armi, momento speciale nella vita di ogni piccolo o grande scout che si appresta a pronunciare la sua Promessa, dalla quale discende il famoso “Scout una volta, scout per sempre.”



Essere scout, oggi come ieri, significa molto di più che vendere biscotti o aiutare i vecchini ad attraversare la strada. Addentrandosi in quello che è un movimento giovanile mondiale, si può scoprire quanto profonda sia l’impronta che questo lascia nella vita di chi decide di farne parte. La stessa frase sopracitata, per cui una volta che si “diventa” scout lo si resta per sempre, non vuole essere una catena, ma esprime un dato di fatto: lo scoutismo è uno stile di vita che si abbraccia passo dopo passo, per cui il ragazzo è chiamato a farsi strada nei sentieri di montagna, così come nella vita. È la graduale e condivisa interiorizzazione di valori universali – quali il coraggio, l’amicizia, il rispetto e l’aiuto disinteressato verso il prossimo – che, una volta radicati nei cuori, non si possono estirpare.

Io stessa, durante il mio percorso, ho avuto modo di sperimentare quest’appartenenza. Dopo anni di felice scoutismo, quando ho sentito che era giunto anche per me il momento di intraprendere “nuovi sentieri”, mi sono confrontata con i miei amici di una vita e ho riposto nell’armadio il fazzolettone e l’uniforme. Nel mio cuore, però, non ho mai smesso di essere scout. Non ho smesso di sperare nella bontà delle persone, di aiutare chi mi circonda, di confortare chi soffre e di battermi –con le parole e con il cuore – per ciò in cui credo.


Il patrono degli scout è San Giorgio, il cavaliere medievale che, secondo la leggenda, ha salvato la principessa dal drago con la forza di Dio dalla sua parte. Giorgio di Cappadocia, in realtà, è un soldato dell’esercito di Diocleziano e devoto cattolico. Quando lo stesso imperatore Diocleziano inizia a perseguitare i cattolici, Giorgio si spoglia di tutti i suoi averi e rifiuta di abiurare. Subisce molte torture e altrettante condanne a morte, ma resuscita ogni volta, fino a morire definitivamente da martire il 23 aprile 303 d.C., in Turchia. Il modello che Robert Baden-Powell – il fondatore del movimento scout – ci propone, è proprio quello di San Giorgio: un ragazzo ispirato da Dio, fedele ai suoi valori, che non si tira indietro davanti alle avversità e che è sempre pronto a fare del bene per e con gli altri.



Estote parati”, direbbe qualcuno, “Siate pronti”. E chi, meglio delle Aquile Randagie, ha saputo rispondere a tale chiamata? Nel 1928, il Consiglio dei ministri sopprime tutte le attività scout in Italia, sostituendole con l’Opera Nazionale Balilla. Il 22 aprile dello stesso anno, (quasi) tutti i gruppi scout di Milano si riuniscono per deporre le insegne dei reparti e interrompere, così, ogni attività: all’appello, però, manca la fiamma del reparto del Milano 2. Su quella stessa insegna, nella cripta di San Sepolcro, il lupetto Andrea Ciacio recita la sua Promessa davanti al capo reparto Giulio Cesare Uccellini e ad altri ragazzi scout che non rinunciano al loro percorso. In quel momento, nascerà l’impegno dei compresenti a unirsi e a “durare un giorno in più (del fascismo)”.


Le Aquile Randagie – gruppo di scout fra gli undici e i diciotto anni, di Milano, Monza e Parma – manterranno la loro promessa per quasi diciassette anni, continuando clandestinamente le proprie attività e organizzando campi estivi nascosti fra le cime della Val Codera. Saranno coraggiosi davanti alle perquisizioni e intimidazioni delle camicie nere, indosseranno sempre l’uniforme sotto i vestiti e si daranno gli appuntamenti con incisioni in alfabeto morse sui muri della città. Durante la seconda guerra mondiale, le Aquile Randagie istituiscono l’O.S.C.A.R., un’organizzazione dedita, tramite la creazione di documenti falsi, all’espatrio in Svizzera di ebrei e ricercati politici, altrimenti condannati alla deportazione. Saranno gli stessi ragazzi che aiuteranno i profughi ad attraversare il confine. Fra le tante eroiche gesta, ricordiamo il finto rapimento di Gabriele, figlio di una donna ebrea già sulla via del lager, lasciato temporaneamente in un istituto a Varese e destinato al campo di Buchenwald. Le Aquile riusciranno a far trasferire il bambino in ospedale con la scusa di un’urgente operazione e da lì verrà poi “rapito” e riconsegnato al padre, con cui fuggirà in Australia, salvandosi per sempre dall’orrore dei campi di concentramento. Alla fine della guerra, il bilancio dell’OSCAR è impressionante e commovente: 2166 espatri e tremila documenti falsi prodotti. Non male per degli adolescenti, non trovate?

Il 22 aprile 2021 ricorre il novantatreesimo anniversario della Promessa del piccolo Andrea e dei giovani presenti alla celebrazione. Ce l’hanno fatta, hanno resistito tantissimi giorni in più del Fascismo. Se qualcuno mi dovesse mai chiedere cosa sia per me lo scoutismo, risponderei “Le Aquile Randagie”, perché nessuno meglio di loro ne ha saputo incarnare gli ideali. E forse sono stati proprio loro, i San Giorgio del ventesimo secolo. A loro, inarrestabili, infinite volte Grazie.


Articolo a cura di: Benedetta Pitocco



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