Cosmetici Cruelty Free: NO ai test sugli animali!
Animalista o meno, ognuno di noi ha sentito almeno una volta parlare del "cruelty-free", una vasta gamma di prodotti realizzati senza lo sfruttamento di animali per test in laboratorio.

A partire dal 2013, entrato in vigore il Regolamento 1223/2009, la vendita di cosmetici testati sugli animali è stata integralmente vietata nell’Unione europea.
Un caso isolato, invece, rimane ancora oggi la Cina. Nel 2012, infatti, per legge era stata dichiarata la necessità che i cosmetici prodotti in tale territorio fossero testati sugli animali, costringendo i brand che avessero voluto astenersi da tale obbligo a produrre e vendere in altri paesi.
Tuttavia, la gran parte delle industrie di cosmesi aveva accantonato l’idea di divenire cruelty-free, per poter continuare a trarre benefici dall’ingenza del mercato cinese.
Solo a partire dal 2014 è stato permesso di non sottoporre al test i cosmetici ad uso non speciale (make-up, skin care, smalti, profumi etc.) ammesso che fossero idonei alla vendita.
A gennaio del 2021 sono state nuovamente modificate le leggi, revocando alcuni test obbligatori sui prodotti.
Perché il cruelty-free vieta i test sugli animali e a cosa servono?
È necessario partire dal presupposto che con "test" non si intende semplicemente mettere un rossetto ad una scimmia o stendere uno smalto sugli artigli del gatto, per testarne la texture o la durata.
Non di rado le industrie di cosmetici, durante fase di produzione dei composti in laboratorio, si avvalgono dello svolgimento di test sugli animali atti ad accertare che le singole materie prime, impiegate nel processo di miscelazione delle sostanze, siano confacenti al tipo di prodotto in via di realizzazione.
Dunque, esistono vari modi per praticare test, che non si soffermano al solo prodotto finito.
Per di più si tratta di pratiche la cui valenza scientifica è nulla, poiché non hanno portato mai ad un vantaggio concreto, quanto per lo più all'aggravamento della salute animale.
Che tipo di test venivano svolti?
Prima che entrassero in vigore le leggi del 2013 i controlli da svolgere per assicurarsi che i prodotti fossero idonei alla vendita erano i seguenti:
tossicità ripetuta e tossicità cronica: piccole dosi di varie sostanze erano testate per lunghi periodi, talvolta per l'intera vita dell’animale;
tossicità riproduttiva: consisteva nell’analisi delle capacità o meno di una determinata sostanza di creare difetti nella prole, se somministrata ad un animale in gravidanza;
tossicocinetica: rilevava eventuali danni biologici in seguito al contatto della sostanza con organi e cellule.
Esiste un modo per comprendere se un prodotto make-up è "cruelty-free"?
Certo! Ad oggi tutti i prodotti delle industrie di cosmesi che aderiscono volontariamente al "cruelty-free" riportano sull'apposita etichetta, nella sezione INCI (International Nomenclature of Cosmetic Ingredients) , le diciture " Cruelty-Free" e "Not tested on animals" o in alternativa il disegno del Leaping Bunny e il PETA (People for the Ethical Treatment of Animals).
Attenzione! Diciture come “clinicamente testato” o “dermatologicamente testato” non sono espressamente indice di test svolti sugli animali, né tantomeno assicurano che il prodotto sia cruelty-free.
Esprimono, genericamente, lo svolgimento di test su volontari.
“Dermatologicamente testato”, nello specifico, fa riferimento alla valutazione dei risultati che il prodotto finito ha sulla pelle.
Frequentemente queste diciture ci inducono a pensare che i prodotti di cosmesi delle più note marche abbiano una qualità maggiore.
Nella gran parte dei casi esistono delle valide alternative facilmente reperibili dai numerosi brand cruelty-free.
Prediligere questi ultimi per la realizzazione del make-up è un nostro dovere morale, poiché un prodotto di alta qualità, sottoposto a test, non potrà mai ripagare la vita di un animale.
Articolo a cura di: Serena Luvero