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Comunicazione - Il mercato parallelo dei dati

Cosa ci guadagna Google ad essere il motore di ricerca più usato al mondo?


La risposta è "i vostri dati"…ma, ogni volta che qualcuno ha posto la domanda agli amministratori dell'azienda, questi hanno dissentito: “Google non vende i dati dei suoi utenti”. A conti fatti, però, il 90% dei ricavi di Alphabet, il colosso che ingloba qualsiasi attività di Google, deriva dai programmi di target advertising, cioè dal cosiddetto Google Ads. Cerchiamo di capire meglio.



Google colleziona, ormai da quasi due decenni, i dati sul nostro comportamento online; la stessa azienda è entrata nel merito più volte, giustificandosi pubblicamente e precisando che i dati raccolti vengono usati a vantaggio del sistema di ricerca, in grado di perfezionarsi continuamente grazie proprio all’estrazione costante. Secondo questa visione, l’estrazione di surplus di dati dalle nostre attività online sarebbe, in ultima istanza, un guadagno per l’utente, in quanto finalizzata al miglioramento della piattaforma.

Il motore di ricerca processa più di 40mila query di ricerca al secondo, ma tutti questi dati da soli non ci dicono molto sul nostro comportamento, è l'algoritmo a dotarli di significato. Attenzione: non dobbiamo pensare che l'algoritmo ci identifichi come semplici numeri, i software sanno bene che siamo persone in carne e ossa, conoscono i nostri spostamenti e qual è la crema idratante che saremo più portati ad acquistare questo venerdì.


Insieme al motore di ricerca i nostri dati vengono usati anche dal sistema di Google Ads, cioè quel software di gestione delle inserzioni pubblicitarie che tutti noi vediamo sul display mentre facciamo ricerche. Google Ads si occupa di mostrare gli annunci pubblicitari ad un target definito di persone, con l’obiettivo di garantire all’inserzionista – vero cliente e focus dell’azienda – delle previsioni sempre più accurate. In questo modo i risultati della ricerca sono personalizzati “su misura”: questo meccanismo si è diffuso negli anni ed è lo stesso usato, ad esempio, da Facebook per creare le nostre bacheche.


Gli scettici si chiedono: ma perché Google dovrebbe interessarsi proprio a me?

Perché ci guadagna, però non vendendo direttamente i nostri dati alle aziende; Google li confeziona insieme a delle predizioni sui nostri comportamenti futuri – “Mario è molto propenso a comprare l'ultimo modello di scarpe” – e li posiziona sul proprio mercato. Qui gli inserzionisti comprano le predizioni di Google in una sorta di speculazione finanziaria costante, alimentata dagli scarti delle nostre attività online. Il mercato è florido: le aziende sono ben disposte a pagare per entrare in un mercato in grado di anticipare i comportamenti di intere popolazioni, che assicura la quasi-certezza di generare profitti. Al contempo Google è ben felice di poter dichiarare di non vendere i nostri dati, dimenticando di precisare che vende predizioni sulle nostre azioni future.



Ma quindi, tutto questo dovrebbe spaventarci? Beh, se iniziamo a pensare a tutti i dispositivi smart di cui ci stiamo circondando, la realtà potrebbe iniziare a rassomigliare al Grande Fratello di Orwell, ma non è questo il caso. Non si tratta di totalitarismo, nonostante tante fantasie fantascientifiche: la tecnologia nel 2021 segue banalmente le esigenze del mercato, quindi non ci costringeranno al silenzio finché non sarà economicamente conveniente.

Quello che è necessario specificare è che, se è certo che gli algoritmi di Google permettono di aumentare il coinvolgimento dell’utente, in una convergenza d’interessi quasi ideale fra le aziende d’intelligence e le aziende private del Web, non è altrettanto facile affermare che se Google ci “ruba i dati” la nostra esperienza utente è migliorata. Gli algoritmi, infatti, aumentano il coinvolgimento dell’utente, ma senza nessuna preoccupazione di merito sui contenuti usati per farlo. Immaginate ad esempio di vivere un brutto periodo in cui avete iniziato ad odiare il vostro corpo e, ad esempio, volete dimagrire ad ogni costo. Con ogni probabilità le vostre ricerche online saranno coerenti al vostro stato d’animo e alla vostra missione, ma quello che farà Google – o proverà a fare – è consegnarvi nelle braccia del primo guru del fruttarianesimo disposto a pagare per un’inserzione mirata. Se non sembra un fatto così grave, basterà riportare alla mente lo scandalo di Cambridge Analytica, società di consulenza balzata agli onori della cronaca per l’utilizzo dei dati di ricerca con il fine ultimo di influenzare le elezioni politiche...


COLLABORAZIONE - Articolo a cura di: Eleonora Rosi di @itinere



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