Come gli indicatori ambientali ci aiutano a preservare l’ambiente
Per conoscere lo stato di salute di aria, suolo e acque, oggi compromessi più che mai, i ricercatori fanno spesso ricorso ai bio-indicatori, detti anche indicatori biologici o ambientali. Solitamente sono parametri fisici, chimici e biologici che subiscono delle variazioni in risposta a stimoli naturali o artificiali cui vengono sottoposti e poiché ognuno fornisce informazioni specifiche spesso vengono combinati in modo da poter studiare la loro interazione.

I più impiegati al fine di preservare l’inquinamento sono quelli eco-tossicologici, utili per capire il modo in cui si modifica l’ambiente tramite la valutazione del bio-accumulo, ovvero la concentrazione che una sostanza raggiunge nei tessuti animali. Questo processo comprende altri due fenomeni: la bio-magnificazione e la bio-concentrazione. Il primo è l’accumulo di sostanze lungo la catena alimentare, ovvero una concentrazione nei tessuti che aumenta nel passaggio da un livello trofico al successivo.
Ad esempio, tra i metalli pesanti ve ne sono alcuni con funzioni biologiche poco conosciute (tallio, stagno, cromo e vanadio) ma sono ottimi indicatori di contaminazione, perciò la loro presenza indica un cattivo stato di salute dell’ambiente circostante. Altri metalli invece sono dannosi anche se in piccole dosi, come nichel, uranio, mercurio, arsenico e piombo, mentre quelli tossici solo se in concentrazioni elevate sono ferro, rame, zinco, cobalto, selenio e manganese.
Nella catena trofica troviamo cinque livelli: alle piante seguono gli erbivori, i primi carnivori che si cibano di erbivori, i carnivori che si nutrono dei primi carnivori e i ‘top predators’, le specie che stanno al vertice come l’uomo. L’accumulo lungo la catena trofica inizia quando le piante assorbono sostanze pericolose dal suolo o dall’acqua, ne vengono contaminate e rappresentano una fonte di pericolo per gli animali che le pascolano, o che a loro volta bevono acqua contaminata, sino ad arrivare al gradino più elevato.
La bio-concentrazione avviene quando gli organismi che assimilano una sostanza dal mezzo in cui vivono, acqua o aria, la assorbono in concentrazione superiore al tasso con cui la espellono, per cui la concentrano in organi o tessuti senza subirne conseguenze letali. Questi organismi, ad esempio alcune specie batteriche, vengono utilizzati con successo nelle operazioni di biorisanamento, processo che porta alla detossificazione delle sostanze tossiche. L’ISPRA (Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale) ha raccolto in una banca dati le informazioni sui bio-indicatori più utilizzati in territorio nazionale in base all’uso, economicità ed efficacia. Alcuni indicatori biologici possono essere i licheni e gli acari oribatei, microartropodi che troviamo nel suolo, di cui esistono tante specie. Sappiamo bene quanto sia difficile oggi la convivenza tra attività antropiche e tutela ambientale, lo dimostra il fatto che nonostante siano stati compiti molti sforzi e prese numerose iniziative, non sempre si sono raggiunti risultati concreti e laddove invece si sono ottenuti, l’inquinamento di migliaia di altri esseri umani sul pianeta ha reso questo traguardo pressoché vano. Fatichiamo a comprendere il concetto di One Health, così semplice ma allo stesso tempo difficile da mettere in pratica. Questo termine inglese intende dirci che la salute non è solo quella di un singolo individuo, ma è della collettività. Il benessere di uomini, animali e ambiente sono interdipendenti e interconnessi: inquinando la natura stiamo compromettendo il nostro stesso benestare prima di quello altrui. Quando faremo nostro questo concetto la pacifica interazione uomo-ambiente non sarà più un’utopia.
Articolo a cura di: Mariangela Pirari