Ciò che conta è tutto dentro di noi; fuori nessuno può aiutarci
Trovare un punto di stabilità e una propria sicurezza non è facile e lo diventa ancora meno se a cercarla si è da soli, cosa che accade nella maggior parte delle volte. C’è chi la cerca nell’approvazione da parte delle altre persone, altri invece la scovano in un credo religioso, nonostante questa sicurezza possa essere molto più vicina di quello che ci immaginiamo. Una visione particolare ce la dà lo scrittore tedesco Hermann Hesse (1877-1962), un crocevia di culture nel cui universo la spiritualità occupa la parte principale e nevralgica.

Lo scrittore di Calw vive in una realtà complessa e ben differenziata, caratterizzata da una spietatezza concentrata in due guerre mondiali che accadono nel mezzo della sua vita con le relative dittature, le quali renderanno il materialismo una stravaganza. A questa crisi "morale", derivata dalle guerre, bisogna poi aggiungere le tragiche vicende personali come i disturbi mentali della prima moglie, la morte del padre e la malattia del figlio Martin: queste crisi provocarono nello scrittore tedesco una profonda depressione, a causa della quale sarà seguito da un allievo di Jung, il dottor Lang, il quale ha il merito di averlo risollevato dal crollo nervoso e di avergli introdotto i concetti base della psicoanalisi.
Grazie all’aiuto del dottor Lang, la maturità artistica di Hesse vede il proprio culmine con la scrittura delle opere più famose e poeticamente importanti: Il lupo della steppa, Demian, Narciso e Boccadoro e Siddharta, l’ultimo dei quali venne terminato esclusivamente grazie all’intervento su una nuova crisi depressiva di Jung stesso.
Questo successo derivato dalle opere della sua maturità artistica viene da lui vissuto come segno di consenso da parte della versione sensibile dell’umanità. Grande amante della cultura indiana e profondo conoscitore del buddismo, Hesse predilige l’opzione spirituale: infatti, si può dire che lo scrittore tedesco sia un esistenzialista, nel senso che si dirige verso il tentativo di comunicare con l’esistere. In tal modo, la vita acquista senso ma, per meglio comprendere questa direzione, bisogna uscire da sé stessi per rendersi conto di cose che in realtà sono già all’interno. Hesse inizia a spiegare meglio la sua idea con un esempio:
“Se tracci col gesso una riga sul pavimento, è altrettanto difficile camminarci sopra che avanzare sulla più sottile delle funi. Eppure chiunque ci riesce tranquillamente perché non è pericoloso. Se fai finta che la fune non è altro che un disegno fatto col gesso e l’aria intorno è il pavimento, riesci a procedere sicuro su tutte le funi. […]”
Innanzitutto, infatti, per uscire da sé stessi occorre una ricognizione attenta e profonda del proprio animo, conoscersi, esplorare gli angoli nascosti nella propria anima, non sussultare nel trovarne di popolati da demoni: esso può infatti entrare in comunicazione con le cose e con i rispettivi segreti. Hesse conclude in questo modo la spiegazione:
“Ciò che conta è tutto dentro di noi; fuori nessuno può aiutarci. Non essere in guerra con te stesso: così … tutto diventa possibile, non solo camminare su una fune, ma anche volare”
Questo è lo scopo ultimo del viaggio, dell’essere Boccadoro e dell’essere Narciso. Entrambi i protagonisti si liberano dalle ansie a vicenda, tramutando le sofferenze fisiche, ma prima di tutto psicologiche, in energia che infiamma il criterio e la discrezione tra il soggettivo e l’oggettivo. Il disinganno e il dolore sono maestri di vita i quali sono in grado di svelare gli aspetti più nascosti della personalità, tra cui ad esempio i conflitti emotivi ed etici ai quali si arriva solo attraverso una cognizione identitaria.
Hesse sembra voler spiegare e discutere riguardo un modo in cui sia l’amore sia la morte possano far parte dello stesso impulso ma, come farebbe un qualsiasi figlio nato in un ambiente protestante, lo scrittore non esprimere una propria, ferma, opinione: preferisce rifugiarsi nell’esoterismo e lasciarsi prendere da stimoli metafisici, che vorrebbe però più comprensibili. Nonostante ciò, l’insegnamento lasciato dalla sua poetica rende le sue opere dei grandi classici, delle opere aperte interpretabili sempre in modo diverso.
Articolo a cura di: Claudia Crescenzi