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Che cos’è il Natale? …Cosa ne pensano i filosofi

Si dibatte da secoli sul vero significato del Natale: una scenografica attesa di quell’anziano signore che affronta con le sue renne i cieli impervi di tutto il pianeta? La nascita del Salvatore protagonista della più familiare e accogliente avventura della Bibbia? Oppure una presuntuosa festa che dal potente Occidente colora di rosso il consumismo di ogni addobbo?



Già chiederselo, seppure in una prospettiva rigorosamente laica, porta a dover riconoscere che questo periodo dell’anno qualcosa muove.


I filosofi cercano la verità, indagano il tangibile laddove la fisicità non basta a dare spiegazioni, sfidano il mistero quando la scienza dà risultati, accolgono lo spirito perché la materia ha un’altra consistenza. E arretrano dinanzi all’invisibile. Ed ecco che anche il natale diventa un tema tanto insidioso quanto gettonato.


Schopenhauer, tra i filosofi più pessimisti di tutti i tempi, in Parerga e Paralipomena scrive che “Colui che ha una grande ricchezza in sé stesso è come una stanza pronta per la festa di Natale, luminosa, calda e gaia in mezzo alla neve e al ghiaccio della notte di dicembre”. E quindi questi giorni si fanno accoglienza, luce… tradizione.


Da Nietzsche – che tanto ha acclamato la morte di Dio - ci si aspetterebbe una altrettanta negazione del Natale. E invece in una lettera scritta dall’Italia nel 1880 alla madre e alla sorella fa cenno di come “in tutte le case si accende l’albero e si distribuiscono i doni di Natale ricordando così, con nostalgica poesia, le sue vigilie di bambino curioso davanti ai doni, tra il conforto della famiglia.


Sartre, tra i più atei pensatori del 1900, si trova a riflettere sul Natale durante l’esperienza di detenzione in un lager nazista e al proposito scrive in Bariona o il figlio del tuono: “Ella lo ha portato per nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio… Ella sente insieme che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che egli è Dio. Ella lo guarda e pensa: “Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. Egli è fatto di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Egli mi assomiglia. È Dio e mi assomiglia!”.



E Umberto Galimberti riflette – e ci fa riflettere- così: “Messi al margine del mondo che ogni giorno abitiamo e a contatto con l’origine della nostra esistenza, a Natale proviamo la vertigine di chi si trova per un giorno e a sua insaputa gettato lungo la via faticosa della ricerca di senso, della direzione della nostra esistenza, con l’amara sensazione che il teatro del mondo ci preveda come semplici marionette, mosse da voleri che ci sovrastano e ci impongono, loro sì, una direzione ignota”.


Buon Natale!


Articolo a cura di: Lisa Bevilacqua



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