Caso Regeni: un affare di Stato
È notizia recente del processo che si terrà a carico di quattro alti ufficiali dei servizi segreti egiziani che, dalle indagini svolte, sarebbero coinvolti nel rapimento di Giulio Regeni ed autori delle sevizie che portarono alla morte il giovane ricercatore italiano. Tanto si è detto e scritto su questo caso che ha coinvolto e coinvolge in maniera sostanziale le diplomazie dei due stati, Italia ed Egitto, mettendo a dura prova i rapporti tra i due paesi. Ma se di Giulio e della sua tragica fine se ne è parlato, giustamente, senza lesinare energie con dovizia di particolari, a volte esagerando e venendo meno a quella riservatezza che, in casi così delicati e dolorosi, sarebbe una prerogativa dovuta, poco si è detto sulle posizioni assunte e sulle cause che le hanno determinate, nell’affrontare questa delicata vicenda, dai governi dei due paesi.

a cosa nasce questa considerazione? Nasce da un paio di interrogativi che la stragrande maggioranza degli italiani si sono posti: perché il governo italiano non ha adottato misure drastiche nei confronti dell’Egitto? Perché a sua volta l’Egitto ha assunto questo atteggiamento reticente ed omertoso, eludendo e talvolta addirittura ignorando le richieste dei giudici italiani?
Non è sicuramente impresa facile analizzare la complessità delle dinamiche che le due diplomazie hanno costruito intorno a tale vicenda, ma ripercorrendo la storia delle relazioni bilaterali tra i due paesi nell’ultimo decennio probabilmente riusciremo a fissare un importante punto di partenza che ci permetterà di chiarire, almeno in parte, i nostri dubbi.
Partiamo dal constatare che l’Egitto è sempre stato considerato, negli ultimi decenni, uno tra i paesi musulmani più moderati e che intrattiene ottimi rapporti con molti partner occidentali, Stati Uniti in primis. L’Italia, da parte sua, si è ritagliata uno spazio relazionale importante nello scacchiere geopolitico internazionale in quell’area, soprattutto dopo la caduta di Gheddafi e l’instabilità della Libia. L’Egitto è così diventato un eccellente partner commerciale ed un punto di riferimento per la politica estera italiana nel continente africano. A partire dal 2010, sotto il governo Berlusconi, la cooperazione tra i due paesi in diversi settori definiti strategici subì un’accelerazione. Si gettarono le basi per lo sfruttamento delle risorse energetiche egiziane e potenziati i flussi turistici tra i due paesi.
Con la caduta di Mubarak e l’avvento di Mohamed Morsi la collaborazione, soprattutto
quella commerciale meno quella politica, non subì sostanziali trasformazioni e comunque con l’avvento al potere di Al Sisi i rapporti tra i due paesi riacquistarono la verve degli anni precedenti. Basti pensare che oggi l’Eni ha spostato in Egitto i suoi maggiori investimenti per l’estrazione di gas e prodotti energetici relegando la Libia ad un ruolo secondario. L’Italia è così diventato il quarto partner commerciale del paese delle Piramidi, che rappresenta uno dei maggiori clienti del bel paese per quanto riguarda la vendita di armi o mezzi da guerra. Per non parlare del turismo che, fatta ovviamente eccezione per quest’ultimo anno, rappresenta uno degli asset più importanti del sistema di interscambio economico.
Sottolineiamo ancora una volta che il paese nord africano rimane una pedina importante dello scacchiere politico internazionale, di cui neppure l’Europa può farne a meno (così si spiega anche il perché l’Italia è stata lasciata praticamente da sola nel districare questa complicata vicenda) ed Al Sisi rappresenta un’argine ad una eventuale minaccia di deriva estremistica, circostanza sempre reale nei paesi islamici.
Ed allora, forse, dopo questa breve e inevitabilmente non esaustiva sintesi, il quadro in cui si situa l’omicidio di Giulio appare un pò più chiaro. L’atteggiamento spavaldo e omertoso dell’Egitto ed il blando ed intermittente approccio dell’Italia sono attribuibili alla consapevolezza reciproca dell’importanza geopolitica ed economica del paese africano ed all’allineamento con la politica estera occidentale, e statunitense in particolare, a cui il nostro paese non può sottrarsi.
La storia, anche se per motivi differenti ed in contesti diversi, si ripete: il 3 febbraio del 2016, come in quel lontano 9 maggio del 1978, un rapimento si concluse con un delitto ed in entrambi i casi un affare di Stato valse bene il sacrificio di una vita.
Articolo a cura di: Antonino Marino