Burning – Dove brucia ogni certezza
È incredibilmente affascinante il modo in cui i cineasti coreani riescano a portare alla luce le profonde contraddizioni che caratterizzano la loro società. La potenza delle loro narrazioni risiede proprio nel fatto che queste contraddizioni, nonostante riflettano quella che è di fatto la loro cultura, sono assolutamente universali. Da tempo ormai l’Istituto Culturale Coreano in Italia mette a disposizione a cadenza mensile lo streaming di alcuni dei suoi film più interessanti. Fra quelli messi a disposizione in questi mesi, mi ha colpita Burning (2018), diretto da Lee Chang-Dong e basato su un racconto di Haruki Murakami.

Jong-su (Yoo Ah-in), fattorino che sogna di diventare uno scrittore, incontra Hae-mi (Jun Jong-seo) e scopre che si tratta di una sua vecchia vicina di casa. Inizialmente sembra che i due intraprendano una relazione, ma quando la ragazza torna da un viaggio in Africa con Ben (Steven Yeun) la storia comincia a diventare ambigua. Un’aura di mistero pervade la pellicola a partire da Hae-mi, enigmatica, stravagante, persa nei suoi pensieri. ‹‹Tutto quello che voglio è sparire come il sole al tramonto. È che morire fa troppa paura, quello che voglio è sparire, semplicemente, come se non fossi mai esistita››. dice al suo ritorno dall’Africa, ed è proprio ciò che accade a metà del film. La sua sparizione è un evento inspiegabile e soprattutto inatteso per Jong-su che inizia a sospettare di Ben.
I due uomini non potrebbero essere più diversi. Jong-su viene definito uno scrittore senza aver mai scritto nulla, ha subito e continua a subire il peso di una famiglia disfunzionale, eppure sembra vivere la sua vita con pacato distacco, persino nel suo rapporto con Hae-mi. Ben è un Gatsby dei nostri tempi, un giovane uomo bello e ricco ma di cui fondamentalmente non si sa nulla. C’è un solo particolare che svela a Jong-su e allo spettatore: ogni due mesi brucia vecchie serre. Da una parte c’è un ragazzo il cui padre è stato condannato alla reclusione in carcere per aver aggredito un pubblico ufficiale, dall’altra un piromane che continua, impunito, a commettere reati perché tanto la polizia coreana ha altre priorità. Da un lato un ragazzo immerso in paesaggi bucolici, chiuso in se stesso, che dà alla ragazza che ama della puttana perché si spoglia con troppa facilità di fronte a lui; dall’altra un uomo a proprio agio con l’altro sesso, dalla mentalità aperta, ma che sbadiglia durante le divertenti serate con gli amici. Due mondi distanti che si incontrano, due estremità opposte che convergono quando Hae-mi compare nelle loro vite. Due esistenze che collidono nel momento in cui la seducente danza di lei ha fine.
‹‹Sembra che siano lì per me e non aspettino altro che le bruci tutte. E mentre le guardo ridursi in cenere mi sento un dio››. Queste le parole che danno inizio ai sospetti di Jong-su che controlla ossessivamente le serre nei paraggi di casa sua e cerca disperatamente una Hae-mi dalla consistenza sempre più effimera, ingannevole. Queste le parole che possono essere interpretate come la metafora di un serial killer che sceglie con cura la sua preda e, ogni due mesi, pone fine alla sua vita con la stessa facilità con cui brucerebbe una vecchia serra. Senza alcuna conseguenza, finché non incontra uno scrittore in erba che decide di farsi giustizia da solo. Ma questa è solo una delle chiavi di lettura di Burning. Hae-mi potrebbe essere sparita come aveva preannunciato, potrebbe essere scappata a causa dei debiti, o ancora parte della storia potrebbe essere semplicemente il romanzo di Jong-su che finalmente prende vita.
Quello che a prima vista può apparire un film sulle vicende che legano tre persone tanto diverse fra di loro, è in realtà un’accurata disamina sul mistero della vita. I grandi affamati di cui parla Hae-mi, coloro che bramano di comprendere il perché dell’esistenza, sono forse quelli più consapevoli della sua inafferrabilità. Più si indaga il mondo, più questo sfugge. Così come i grandi affamati, anche gli spettatori si ritrovano invano a desiderare certezze in questa storia.
‹‹Non pensare che qui ci sia un mandarino, ma dimentica che non ce n’è uno. Il trucco è questo››.
Burning è uno di quei film che ti lascia sospeso, immerso in una nebbiolina incerta in cui non sai bene come muoverti. Il finale è per certi versi inappagante, ci si sente quasi ingannati perché non vi è nulla di chiaro. Eppure, a conti fatti, è proprio questa la sua forza: l’essere fumoso, costantemente in bilico fra mezze verità, illusioni e congetture, un po’ come la vita stessa.
Vi consiglio di leggere anche il breve racconto di Murakami da cui è tratto il film, Granai incendiati, contenuto nella raccolta intitolata L’elefante scomparso ed altri racconti.
Articolo a cura di: Concetta Pia Garofalo