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ARTE E CENSURA: “POLITICAMENTE CORRETTO” O DAMNATIO MEMORIAE?

L’essere umano, come se mosso da istinto naturale, tende a insabbiare, mettere in pausa o cancellare ciò che lo fa sentire minacciato o lo disturba. I più collegano questa pratica all’epoca del social, dove tutto è removibile con il tasto blocca o un semplice “non mostrare più”, ma in realtà le radici di questa prassi affondano ben più lontano nella storia. Basti pensare alla Damnatio memoriae romana, all’Inquisizione, al perbenismo ottocentesco, al proibizionismo, alla censura dell’arte degenerata e ai roghi di libri in epoca nazista. Il processo è molto semplice: non si allinea con me e i miei ideali, perciò lo elimino.



Il parallelismo con la censura dell’arte e degli artisti russi che sta avvenendo ora –sebbene non armata di roghi, forconi o di torture di sorta, poiché si spera che qualche progresso in fatto di metodi l’umanità lo abbia fatto – non pare completamente campato in aria. Infatti, dal momento in cui Putin ha cominciato la guerra, storie di questo tipo si susseguono: non molto tempo fa alla Bicocca di Milano un intero corso su Dostoevskij è stato annullato; le serate dedicate al Lago dei Cigni di Tchaikowsky sono state cancellate al Teatro di Como; in ogni parte d’Europa ballerini e direttori di orchestra russi hanno dato le dimissioni o sono stati licenziati. Questi sono solo alcuni esempi di ciò che sta accadendo al mondo dell’arte in questa difficile fase storica, ma sono sufficienti a creare lo spazio per una riflessione.

È cristallino che la guerra contro l’Ucraina sia tragica e priva di umanità come tutti i conflitti, e che le speculazioni odierne sopra di essa non facciano che aumentare le vittime e prolungarne la durata. Allo stesso modo è lapalissiano che sia necessario mandare un messaggio forte e univoco di condanna, ma è corretto inserire l’arte in tutto questo? O meglio ancora – senza addentrarsi in dibattiti semplicistici sul giusto o sbagliato – a cosa porta condannare un’intera cultura, la capacità di esprimersi umana e secoli di storia per la follia del singolo? E non sarebbe, invece, più proficuo ricordare quanto di buono l’animo è capace di fare quando canalizza le sue energie nel creare piuttosto che nel distruggere?


Dostoevskij diceva che “la bellezza salverà il mondo”, ma, per quanto poetica, questa frase è uno specchietto per le allodole. Purtroppo non sarà la forza dell’arte a fermare una guerra, né tanto meno a evitarne altre, ma può diventare un simbolo. Un vessillo indelebile di cosa l’uomo è stato capace di fare e di che cosa potrebbe tornare ad essere.

Cancellare l’arte, vecchia e nuova, non vuol dire fermare un governo, un leader politico o un popolo, ma significa mettere a tacere l’essenza stessa dell’interiorità umana.


L’ignoranza, l’indifferenza o il conoscere solo ciò che il grande tribunale-mondo ritiene “buono” in quel momento non crea un mondo libero dalle scorrettezze, ma un mondo convinto che la risposta a un problema sia nell’oblio. La storia è, o dovrebbe essere, un chiaro esempio dell’inutilità di certi provvedimenti. Il mondo, ultimamente, è già abbastanza grigio senza che sia necessario strappare ulteriori sprazzi di colore, di suoni o di parole, e l’umanità è già abbastanza divisa senza che la capacità di creare venga riservata solo a pochi.


Articolo a cura di: Gaia Marcone

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