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Arte al Mart. Pancheri racconta la Venere di Hayez

La scorsa settimana – in data 27 marzo – si è tenuta presso il Mart (Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto) l’inaugurazione della mostra “Hayez e gli altri. Opere dalla collezione di Fondazione Caritro”. La conferenza stampa inaugurale presieduta dal Presidente del Mart, Vittorio Sgarbi, ha rinsaldato la collaborazione ormai decennale tra il museo e la fondazione trentina, con un patrimonio di circa 300 opere d'arte, mediante la promozione di una opera simbolo di Francesco Hayez “Venere che scherza con due colombe (Ritratto di Carlotta Chabert)”. Dall’opera si evince lo stile di rottura dell’artista, nell’espressione di un canone di bellezza talmente tendente al reale da scaturire opinioni sdegnate da parte della critica del tempo.



Ai microfoni de Il Confronto Quotidiano lo storico dell’arte e accademico Roberto Pancheri – oggi conservatore del settore storico-artistico al Museo del Castello del Buonconsiglio di Trento – già autore de “La Venere moderna di Francesco Hayez «una singolare e sentimentale vicenda»”, racconta l’opera, descrivendone il rilievo nella produzione dell’artista ed evidenziando le peculiarità del territorio trentino per quanto attiene al profilo artistico otto-novecentesco.



Rompiamo il ghiaccio con una domanda per neofiti: che ruolo ricopre la pittura di Hayez nel panorama del primo ottocento?


Senz’altro Francesco Hayez è uno dei protagonisti assoluti della pittura della prima metà dell’800 in Italia. Diviene il caposcuola della corrente romantica e risorgimentale, sì che è uno dei campioni della pittura di soggetti storici legati al medioevo italiano che sottintendono la rinascita del sentimento nazionale, accompagnando il Risorgimento. Non a caso uno dei più grandi estimatori di Hayez sarà Mazzini, che lo cita nei suoi Scritti. Hayez ha avuto un legame con il trentino, che all’epoca – come la zona lombardo-veneta – era sotto la dominazione austriaca, attraverso due canali: il primo era il Conte Girolamo Malfati, che gli commissionò nel 1830 la Venere che oggi possiamo ammirare al Mart; il secondo legame forte con il trentino sarà l’amicizia con il poeta Andrea Maffei, famoso anche come traduttore e librettista di Verdi – scrisse il “Libretto dei Masnadieri”. Maffei viveva e lavorava a Milano, dove anche Hayez si trasferì da Venezia, divenendo parte della élite culturale milanese, la protagonista delle guerre di indipendenza. Hayez morirà sufficientemente anziano da vedere l’Italia unita. Muore anche sopravvivendo a se stesso, naturalmente la pittura cambierà molto, basti pensare al movimento dei Macchiaioli. Sicuramente, però, è uno dei protagonisti della prima metà dell’800.


La presentazione della mostra ha certamente messo in risalto il rilievo dell’opera, ma chi, meglio dell’autore che ha deciso di approfondirne la storia da vicino, saprebbe descriverla? Qual è l’importanza che l’opera ricopre nel panorama artistico, nonché socioculturale, del tempo? Che ruolo occupa nella produzione di Hayez?


Nella produzione dell’artista ritengo che la Venere di Trento sia la grande occasione per confrontarsi con il suo maestro, Canova. Si tratta di un confronto su due piani: il primo è quello della gara tra scultura e pittura – il suo maestro era uno scultore e lui un pittore – dunque cerca di ribaltare il primato della scultura che Canova aveva ristabilito dopo secoli. Hayez ambisce con la sua Veneredipinta a gareggiare con le celebri Veneri di Canova, in particolare la “Venere italica” di Palazzo Pitti; l’altro piano è quello di carattere prettamente stilistico ed estetico. Canova era il campione del Neoclassicismo, che prevedeva naturalmente il confronto con l’antico e l’idealizzazione delle figure umane, senza una cifra di Realismo. Hayez invece in quest’opera rompe con questo schema estetico, raffigurando un corpo reale con i suoi difetti, difatti molto criticato sulla stampa milanese dell’epoca – in risposta all’esposizione dell’opera nell’Accademia di Brera nell’estate del 1830. Gran parte della critica era ancora piuttosto conservatrice e accarezzava l’ideale classico come un canone indiscutibile. Hayez da par suo rompe con questa tradizione e si pone sul crinale tra Neoclassicismo e Romanticismo.



Il suo è un profilo di primissimo rilievo nell’ambito dello studio, della conservazione ed anche della riscoperta delle opere di età neoclassica e romantica. Salta all’occhio, naturalmente, la cura e l’attenzione dedicata soprattutto alle opere conservate o regalate dalla storia al territorio trentino. Si tratta di una casualità o c’è invece una ragione più profonda? Sono tante le opere che il territorio ha da offrire ad appassionati e non?


Naturalmente è una condizione legata alla mia professione. Io sono di formazione padovana, però sono trentino. Ho lavorato prima con la Sovrintendenza di Trento e adesso con il Castello del Buonconsiglio, dunque chiaramente il focus è prevalentemente sul territorio trentino. Pur nella sua perifericità Trento, Rovereto – che è sempre stata una città molto vivace sotto il profilo culturale – e l’area trentina in generale non furono tra l’800 e il ‘900 così isolate come si potrebbe pensare, ma anzi beneficiarono della loro appartenenza all’ambito mittel-europeo. Non è il caso di Hayez, che è italianissimo e tale si presenta, ma già dalla fine dell’800 gli artisti trentini tendono a recarsi a Vienna o Monaco di Baviera per la loro formazione, attingendo dal grande fermento dello Jugendstile delle secessioni: Secessione viennese e Secessione monacense. Vi è dunque una condizione di periferia rispetto ai grandi centri culturali, ma l’appartenenza all’ambito mittel-europeo ha favorito la diffusione di un clima culturale aggiornato.


Articolo a cura di: Antonino Palumbo

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