Alitalia chiude i battenti: ITA già in picchiata?
Lo scorso 14 ottobre si è conclusa un’era: Alitalia, con il volo Cagliari-Roma, compie la sua ultima tratta.
“Un volo storico”, così è stato definito dal comandante che, nel dare il benvenuto agli ultimi passeggeri, ha voluto rendere omaggio alla compagnia che dopo 75 anni ha chiuso definitivamente i battenti.
Si è conclusa, dunque, la procedura di offerta pubblica relativa al marchio Alitalia Spa, acquisito adesso da Ita, che effettua il primo volo il giorno successivo.

Ripercorrendo la storia di Alitalia: quando entra in crisi? Per quale ragione? Inizialmente, la compagnia era sotto il completo dominio dello Stato (prima l’Iri, poi il ministero del Tesoro). Nel 1996 il governo Prodi avvia il processo di privatizzazione che porta alla quotazione in Borsa del 37% del capitale. A quel punto manca un partner industriale di un certo peso e viene presa in considerazione la Klm. Questa alleanza, però, viene meno pochi mesi dopo, poiché le due compagnie si trovano in disaccordo in merito all’hub principale del gruppo.
In più, Alitalia ha dovuto fare i conti con la concorrenza, in particolare le compagnie low cost, prima tra queste Ryanair, una piccola compagnia aerea inglese che in poco tempo diventa un gigante dell’aviazione. Alitalia, essendo di lunga data, è una delle compagnie che avverte maggiormente il peso della concorrenza. Si avviano numerosi tentativi di trattative, ricordiamo quella esclusiva con Air France, destinata a fallire.
Successivamente Silvio Berlusconi getta le basi per la costituzione del cosiddetto “piano Fenice”, che determina la scorporazione di Alitalia in una “bad company”, sotto il controllo dello Stato, e in una “good company”, la Cai (Compagnia Aerea Italiana). Quest’ultima acquista la good company e sulle spalle dello stato rimane una bad company con debiti per un miliardo. A determinare la picchiata di Alitalia, però, è stato un susseguirsi di errori di strategia: vengono ridotti i voli intercontinentali ad appena 16, determinando la desolazione dell’aeroporto di Milano Malpensa che, invece, avrebbe dovuto essere il trampolino di lancio della nuova compagnia. Si tratta, dunque, di una crisi iniziata oltre 20 anni fa, determinata da un forte indebitamento e da una concorrenza non indifferente che non ha permesso ad Alitalia di competere visti i suoi costi troppo elevati.
Arriviamo così ad Ita, interamente controllata dal ministero dell’economia e delle finanze e che ha già riscontrato un aumento di capitale pubblico da 1,35 miliardi di euro. Questa nuova compagnia parte con una flotta di 52 aerei, destinati ad incrementare entro il prossimo anno. Effettuerà circa 61 rotte, impiegando un terzo dei dipendenti, 2800 a fronte degli oltre 10mila di
Alitalia, i quali finiscono immediatamente in cassa integrazione. In realtà, tra le due compagnie rilevano delle analogie: Ita conserverà gli stessi aerei, detenendo lo stesso codice volo e lo stesso identificativo di biglietto; anche i dipendenti indosseranno le stesse divise. Cambio radicale, invece, riguarderà chi viaggia da e verso la Sardegna: i viaggiatori non potranno più usufruire della continuità territoriale di Alitalia. Una grave perdita per il popolo sardo che dovrà fronteggiare l’isolamento in altro modo.
Anche se Ita prenderà il posto di Alitalia, la Commissione Europea ha richiesto una forte discontinuità tra le due compagnie e ha vietato la possibilità di utilizzare i biglietti venduti da Alitalia per i voli di Ita. Il Governo, infatti, ha istituito un fondo da 100 milioni di euro per rimborsare i possessori dei titoli di volo Alitalia, dopo il passaggio alla compagnia. Bisogna capire se questo passaggio sia effettivamente vantaggioso oppure se, a lungo andare, costituisca un ulteriore rischio poiché l’offerta del brand a 290 milioni, ritenuta dagli stessi vertici di Ita troppo alta, dimostra che i giochi continuano a causa della moltitudine di milionari stranieri che, con le loro aziende, potrebbero comprare il brand facendo ricadere gli italiani nell’errore di aver determinato un’operazione sicuramente non patriota.
Articolo a cura di: Marica Cuppari