Addio Franco, artista immenso e poliedrico
“Le sento più vicine le sacre sinfonie del tempo Con una idea: che siamo esseri immortali Caduti nelle tenebre, destinati a errare Nei secoli dei secoli, fino a completa guarigione”
- Franco Battiato, Le sacre sinfonie del tempo

“Il maestro è andato via” direbbero Colapesce & Dimartino. Purtroppo, è così: Franco Battiato, un artista immenso e poliedrico, profondo innovatore e conoscitore della musica, estroso e brillante, ci ha lasciati. Non è certo facile, sul momento, avendo appena appreso la notizia della sua dipartita, scrivere un pensiero che lo riguardi, specialmente per chi – come me – pur non avendo vissuto in prima persona gli anni in cui uscivano “L’era del Cinghiale Bianco”, “Patriots” o “La voce del padrone” – gli anni della consacrazione – ha sempre ascoltato e suonato le sue canzoni. Proverò soltanto a raccontarlo, per quanto sia un compito arduo, attraverso i suoi versi.
Le sue canzoni, vere opere d’arte, permettono di viaggiare, quasi come se il maestro fosse una guida – un Virgilio contemporaneo – e noi suoi semplici compagni di viaggio, pronti ad ascoltare i suoi racconti e a seguirlo, fidandoci ciecamente, tra “le balinesi nei giorni di festa [Voglio vederti danzare]”, “per i campi del Tennessee [La Cura]”, oppure – semplicemente – “su una spiaggia solitaria [Summer on a solitary beach]”. Dalle atmosfere russe di “Prospettiva Nevski” a San Pietroburgo – quando Battiato “incontrò” Igor Stravinskij” – all’ambientazione araba, con ritornello in lingua, in “Arabian Song”, passando per l’Albania perché “Radio Tirana trasmette musiche balcaniche” [Voglio vederti danzare] o per Lisbona [Segunda feira].

Nel viaggio attraverso le sue melodie, non è raro trovare, come protagonisti di queste avventure, alcune figure caratteristiche che hanno contraddistinto i suoi testi: basti pensare alla “vecchia bretone, con un cappello e un ombrello di carta di riso e canna di bambù [Centro di gravità permanente]”, a “Socrate [che] parlava spesso delle gioie dell’amore [Venezia Istanbul]”, o ancora il Re Atlante che “conosceva la dottrina della sfera, gli astri, la geometria, la cabala e l’alchimia [Atlantide]”.
La grandezza di Franco Battiato, però, non emerge soltanto dal modo in cui riesce a raccontare qualsiasi scenario – immaginario o reale che sia – ma, al contempo, è insita nella sua poliedricità, nella sua capacità di sperimentare emozionando ugualmente: difatti, è riuscito a cambiare genere con una disinvoltura propria dei più grandi musicisti – quale era – passando dal pop al rock, fino ad arrivare alla musica elettronica e sperimentale. Senza trascurare mai l’importanza e la profondità dei testi: il maestro componeva tanto canzoni romantiche e profonde, come “La cura” o “E ti vengo a cercare”, quanto melodie più politicamente impegnate come “Povera Patria” o “Radio Varsavia”, o ancora brani più “leggeri” – come “Cuccurucucù”, “Passaggi a livello” o “Up patriots to arms” ma, pur sempre, culturalmente elevati, con riferimenti ricolmi di saggezza. Una saggezza e una cultura, però, mai fatte pesare, mai ostentate da Franco Battiato. E la sua grandezza è anche questa.
E ha dato prova della sua nobiltà d’animo anche quando, recatosi in Iraq – colpito dalla Guerra del Golfo – per un concerto al Teatro Nazionale di Baghdad, disse “La musica prescinde da tutto, riunisce sul serio la gente, la musica è un’arte sublime, un importante momento di aggregazione. Di questo viaggio ricordo la commozione dei musicisti iracheni, che non hanno più nulla, e che hanno ricevuto spartiti, ance, corde per i violini.” E, sulle critiche avanzategli, “quando mi hanno chiamato dall’ambasciata irachena e mi hanno chiesto di fare un concerto ho detto subito di sì, senza pensarci tanto. Sei pazzo, mi dicevano, vai cantare per il regime di Saddam Hussein. Non è così, ho sempre risposto; tutti coloro che erano con me sanno che se avessi visto in platea una divisa o un mitra non avrei cantato, se fosse arrivato Saddam Hussein mi sarei trovato in grave imbarazzo. Ma per fortuna non è venuto. È inutile ribadire che lo scopo principe della mia visita in Iraq era umanitario, perché non trovo giusto che un popolo debba soffrire per colpe non sue; ma è anche vero che credo sia giusto dare a tutti una possibilità di redenzione, perché molti assassini sono diventati santi”.

In ultimo, la frase di Umberto Eco, che diceva “chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni […] perché la lettura è un’immortalità all'indietro”, credo possa essere estesa anche alle canzoni di Franco Battiato, capace di farci girare il mondo e attraversare le epoche comodamente seduti sul divano, pur con testi particolarmente ricercati, facendone un vero e proprio genere letterario.
La sua musica supererà sicuramente le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce…e, come tutto ciò che è eterno, non invecchierà mai.
“Il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire…” Prospettiva Nevski – Franco Battiato
Articolo a cura di: Elenio Bolognese