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Aborto: quando la voce del diritto non è abbastanza forte

Aggiornamento: 24 nov 2020

L’aborto, o meglio, il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza.


Articolo a cura di @jureporter

Diritto, perché di questo si tratta, e rimesso alla volontà della donna, perché deve essere una scelta libera e soprattutto sicura. È una conquista recente per l’occidente, ottenuta per le donne e solo grazie alle donne, che hanno preteso di essere ascoltate unendo le loro voci nelle piazze, nelle sedi istituzionali e dentro casa, perché in Italia la contraccezione era un tabù. Il profilattico si poteva usare solo con le prostitute, non con le mogli, mentre la pillola contraccettiva era vietata: abortire era reato. Così è stato fino alla metà degli anni ‘70, quando le voci delle donne italiane sono diventate assordanti e non potevano più restare inascoltate. Così, nel ’76 è stata autorizzata la commercializzazione della pillola contraccettiva e, due anni dopo, è stato disciplinato il diritto all’IVG.


Non è stato un percorso facile né privo di vittime. Le donne abortivano anche quando farlo era reato. La maggior parte ricorreva a qualche sedicente esperto, a ferri, uncinetti, decotti di prezzemolo o a qualsiasi altro rimedio che non le costringesse a sfamare un’altra bocca. Non era una scelta, era un suicidio: preferire il rischio di morire alla gravidanza. E di vittime, purtroppo, ce ne sono state. Questa è la storia italiana, ma quelle degli altri paesi sono simili: l’aborto è stato regolamentato quando le donne hanno deciso di alzare la voce. Oggi tutte le legislazioni europee consentono l’IVG, seppur con differenti motivazioni e procedure. Tra queste, quella polacca è tra le più restrittive d’Europa e oggi la possibilità di abortire è stata ulteriormente limitata.


La pronuncia della Corte Suprema polacca ha dichiarato l’incostituzionalità della norma che consente l’aborto in caso di gravi malformazioni del feto: gli unici casi in cui la pratica sarà consentita saranno lo stupro e il pericolo di vita della gestante. Si tratta di una pronuncia in linea con la politica cattolica e ultraconservatrice dell’attuale governo polacco.


Alla pronuncia della Corte seguirà una riforma della legge sull’aborto, ma le donne polacche hanno unito le loro voci in segno di protesta e ormai da settimane stanno gridando il loro NO alla riforma nelle strade e nelle piazze di tutto il paese. Ancora una volta, le loro voci sono diventate impossibili da ignorare e la procedura di riforma ha subito una brusca battuta d’arresto di fronte all’imponente dissenso.

Anche in Italia, ancora una volta, la voce di una donna squarcia il velo delle ingiustizie sul pregiudizio che le conquiste legislative non sono riuscite a cancellare. È quella di Marta Loi, una donna che ha scoperto che in un cimitero di Roma era seppellito il suo feto, nonostante dopo l’aborto lei non avesse dato alcuna disposizione per la sepoltura.


Marta ha scoperto per caso dell’esistenza di una croce di legno con sopra il suo nome, dopo aver letto dei cc.dd. cimiteri dei feti, previsti dal regolamento di polizia mortuaria del ’90. Il regolamento disciplina la sepoltura dei “nati morti” (feti di 28 settimane) e dei “prodotti abortivi” (tra le 20 e le 28 settimane). Nel caso di “prodotti abortivi” si chiede alla madre se voglia occuparsi della sepoltura e, in caso contrario, vi provvede l’ASL. Ed è qui che nasce il problema che la voce di Marta ha denunciato: non c’è alcuna regola in merito all’avviso alla donna dell’avvenuta sepoltura né della scelta di porre sulla lapide il suo nome e la data dell’IVG – il che viola oltremodo la privacy, tanto che della vicenda si è interessato il Garante. Non solo: si violano anche altre norme non scritte che si calpestano da secoli e che sanciscono l’autodeterminazione della donna, spesso trascurata per dare ascolto ad altre voci, più forti e più compatibili con il tessuto sociale di cui è intriso il nostro vivere quotidiano.


La storia dell’aborto, per come l’abbiamo ripercorsa, è una storia di lotte dure e di conquiste, portata avanti sempre e solo dalle donne, che hanno voluto e che vogliono essere libere di scegliere del proprio corpo. Una rincorsa a uno dei più basilari principi che regola la vita dell’essere umano: la libertà.


Le donne hanno dovuto lottare per essere libere dai pregiudizi, hanno dovuto dimostrare di essere perfettamente in grado di scegliere per se stesse.


L’aborto è sempre un’esperienza atroce. Quando una donna fa questa scelta è consapevole di stare per perdere una parte di sé. Si rinuncia a vivere la maternità per poter continuare a vivere, si rinuncia a una parte di anima per non perderla del tutto. Il segno che lascia questa esperienza è profondo e imparare a conviverci è parte della guarigione, tanto quanto la riabilitazione fisica. L’aborto non è una scelta facile né le misure legislative adottate la rendono tale. La rendono soltanto più sicura e garantiscono a chi la esercita di ottenere tutte le cautele predisposte dal legislatore. Prime tra tutte la garanzia della sicurezza e della riservatezza. Ancora oggi, tuttavia, questa libera scelta diventa oggetto centrale di giudizi costanti e pungenti, che ci pongono davanti ai limiti ancora troppo marcati della nostra società.


Espressione ne è un’altra voce, quella di un prete di Macerata, don Andrea Leonesi che, durante la sua omelia, ha affermato che l’aborto sarebbe un crimine più grave della pedofilia. Le parole di quel parroco lasciano un’eco dietro di sé: è come se si spingessero le donne credenti a non praticare l’aborto per non commettere un grave delitto. Ma qui si parla di diritti e non di delitti: l’aborto, nelle forme e nei modi previsti dalla legge, è perfettamente legale e cosa diversa è il peccato, che non può spingere la donna a tornare meno libera di scegliere e di disporre di se stessa e del proprio corpo.

La speranza è che, con l’avanzare dei tempi e con il progredire dei mezzi di libera informazione, quelle parole arrivino alle persone con il giusto peso e che non influenzino nessuno se non in un senso: quello della condanna a ogni restrizione delle libertà ottenute con fatica dalle donne, a ogni bocca tappata di quella voce che, in ogni parte del mondo, grida ancora, anelando soltanto alla libertà.


Collaborazione - articolo a cura di @jureporter



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